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124 Dialogo Terzo,
nebbia. Io non mi maraviglerei niente fe vi toOc ora qualche Greciih, che preferire h foie gazion della vi fio ne , che diedero gli Epicurei a la fpiegazion de' Moderni per la fola ragione che luna e più antica dell'altra.
Qual' è ella, disse la Marchesa, quella spiegazione, di cui parmi che voi non m'abbiate farro parola ? Ella è quell'ultima, rifpos'io, di cui io vi parlai ieri, parlandovi delle varie spiegazioni degli Antichi, la quale benché fe in orata furiai ragionevole ad alcuni , fupponendo chete! corpi 1 fiacchino i fimulacri o immagmi, per mezzo delle quali noi vediamo, inconrra però a bella prima una gran difficoltà nello fpi egare , come noi dalle tenebre vediamo gli oggetti polli nella Juce, ma dalla luce non vediamo gli ometti polli nehe tenebre; effendochè sì neli'um eSochcnelI' altro li (laccano dagli oggetti i fimulacri, per via de quali fi eccita la vifione . Lucrezio chiama in ajuto una certa aria lucida e sottile, ch'entrando negli occhi posti nelle tenebre gli sgombra dall'aria più grossa e nera, ondo sono occupati, ed apre fa tal modo la grada a' iimulacri , che dagli oggetti polli nella luce vengono all'occmo . All'incontro quando gli oggetti fon nelle tenebre , l'aria grotta e nera non fa che riempire ed ingombrar gli occhi, e chiudere in tal modo il pailaggio a' iimulacri, che dagli oggetti polli nelle tenebre fi lanciano all'occhio.
Acciò si dipinga, ditte la Marchcfa , fulla retina l'immagine di un'oggetto, bifogna ch'egli mandi de' raggi all'umor cristallino , così