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122 Dialogo Terzo.

sarà l’oggetto dell’ammirazione degli eruditi; laddove non vi faranno che due o tre uomini di buon fermo, che facciati applaufo ad un* invenzione utile d’un Moderno, che à la sfortuna di non aver un nome che termini alla Greca, e di effer nato nel me de fimo fecolo che noi: e quella è pure la maniera di penfare d’una gran parte di coloro, che fi fpaccian l’uno all’altro per Dotti, di cui fin nel tempo d’Augufto fi doleva falfamente Orazio: Tanto è vero che la cattiva maniera di penfare è di tutti i tempi.

I Cinesi, disse la Marchesa, non guadagnerebbono essi pure dalla immenfa distanza, che è tra effi e noi, e molte migliaja di miglia non potrebbon’elleno preftar l’effetto di molte ferie di Arconti’, e di Confoli? Eglino non vi perdono certamente, rifpos’io, ma quegli flefli che idolatrano il più quella Nazione, che in mezzo agli OlTervatorj ed agli Agronomi non aveva un tollerabile Almanacco, non àn pena di convenire in fine, che noi vagliamo più di loro. Forfè che quello è IVffctro d’un amor proprio nazionale. I Cincfi fanno unaNazione affatto feparata e diverfa da noi; laddove gli Antichi fanno come una flella famiglia con elio noi, e fono da noi riguardati come i noiìxi antenati e i nollri maggiori; e in fine alcune miferabili migliaja di miglia non potranno mai valere una lilla di Arconti, o uà pezzo de 1 Falli Confolari. In fomma egli avviene come nelle conapofizioni di Teatro, nelle quali quanto a’ collumi, e alle mode del penfare, e del vetta il popolo si lascia più facilmente ingannare