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116 Dialogo Terzo.
nella natura loro di (parate e lontane, non vi avrà e-gh voluto nel Signor Newton uno ferito ì࣠meo per trovare i rapporti, ed avvicinare in eerro modo fra effe quantità dugiunte e feparate dagl munenti tratti dell* in fin ito , dove l' immaginazione e la mente umana fi perde ? E quel che pareva, continuai io, che non dovette che imbarazzar la Geometria, come fi era 'la confiderazione di quegì'infinitamenre piccioli, che noi nè vediamo, nè polliamo immaginare, non é fatto che eftremamente facilitarla, riducendola nel nieddimo tempo ad una generalità così ampia, che le venta le più fu Mimi e le più aftrufe delia Geometria, e per le quali vi volea altra volta un Archimede con rutta quella -intenfnne di fpirìto , che G richiede per non font ire il tumulto il una Citta pre* d'aiTalto , e per trova rfi quali ammazzato fenza accorgersne; non fono ora che una delle infinite conseguenze, che fi perde tra la rolli di quelle, -che fi deducono da un tratto • * penna in mezzo ancora, tè fi volesse, alla conversazion delle Dame .
Quella cordìderazione adunque deal' infinitamente piccioli, diile ia Marchia, e le oifervaz»w del Microfcopio, che fanno refa più fami Iure e comune, àmio ben fitto cangiar di faccia alla Geometria. Ella ora rratta quantità, che prima per la loro eitrema piccolezza le erano affatto ignote, e talora non ifdegna di ftar nella converiazion delle Dame, il cui Mondo le era, cred' io, egualmente ignoto di quello desi' infinitamente piccioli,. E" vero, rifpos* io, eh' ella fi è