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114 | Dialogo Terzo. |
quel di Rodi, rispetto al Monte Atos, tagliato in forma d’uomo, tenente una Città in una mano, e versante un fiume dall’altra, rispetto al Satana di Milton, alla Fama di Virgilio, mostro orribile, e grande, alla formidabil’Ombra di Camovens, Polifemo dell’Oceano, apparsa al Capo, a’ veleggianti Portughesi, che la testa fra le nuvole e le tempeste, e i piedi perdeva nel fondo degl’inscandagliabili abissi del Mare; o rispetto a quell’Angelo visto da Maometto in quella sua misteriosa notte, gli occhi del quale erano settanta mila giorni di viaggio distanti un dall’altro? Si calcola, che s’egli era di forma umana, la sua altezza esser dovea di quattordici mila anni in circa di cammino.
Vi sarà, disse la Marchesa, probabilmente nel Paradiso de’ Turchi gran quantità di cannocchiali, e di trombe parlanti, acciocchè i Maomettani possan vedere e conversare con questi loro Angeli così diabolicamente grandi.
Nella succession del tempo, soggiuns’io, vi sono i medesimi ordini d’infiniti che nell’estensione. Un’ora, un minuto, una seconda sono durate infinite rispetto a’ tempi infinitamente più brevi. Qual’enorme lunghezza di tempo non dee esser la durata dell’Impero Remano a un animale, che nello spazio di cinque o sei ore nasce, ingiovanisce, feconda il suo simile, invecchia, e muore? Ciò che noi chiamiamo la fuga de’ tempi, egli chiamerebbe una eternità. Ma qual cosa sono tutte queste durate d’Imperj, queste lunghe filze di Re, d’Imperadori, e di