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Dialogo Terzo. 101

conchiuderebbe, quell’oggetto edere.alto opure nel fico, in cui da prima trovavafi lafoa mano Per cotal modo legando infieine le antiche iciec de arto colle nofelle della villa, dell’alto e del badò di un’oggetto, dell effe* diritto, o rovereto, non ^portando nu la fc l’immagine di lui rovelcia dimta nella retina, o in qualunque altra politura li dttt. OH oggetti etórni fono, a lui dirò cosi ikmfìcati da certe fenfazioni di luce e M colori, come i penfieri dell’animo a noi lo fono, da certi caratteri non già in virtù di alcuna fomiglianza,che v’abbia tra gli uni e gli altri, ma per via di un’arbitraria, collante pero e perpetua [connettane, che abbiamo offervato tra di etTo loro. E fu rome l’effer quelli caratteri ferini da finiftra a delira come noi fogliamo tare, o da de-lira a fmilìra alla maniera degli Orienta 1, o pure d’alto in baffo alla foggia Ginefe, nulla cangerebbe nell’ordine delle idee, che alla mente riiVeetiercbbono,una volta che ad una certa e collante maniera di fcrittura ci fofli.no avvezzi; cosi fetler certi colori, o per un verfo o per i altro nella retina dipinti, non altera in modo niuno il giudìzio che della loro fonazione recato viene.

Il cieco che ci âa fin’ora in quello labermto ficuramente guidato è ciafeun di noi, che a quella luce elee ad occhi chiusi, e non comincia probabilmente a vedere, fe non dopo aver per qualche tempo Pentito.Così voi avrete, o Madama, al predominante feafo del tatto di quella novella fptegazìone ancot l’obbligo, e per poco