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Dialogo Terzo. | 97 |
di basso che rispettivamente a se, e quando egli è co’ piedi in alto, crede che tutto l’Universo lo sia altresì. Senza di che questa medesima spiegazione suppone anteriori idee dell’alto e del basso, dell’a destra e dell’a sinistra, le quali non possiamo avere che dal tatto.
Egli ci â costantemente insegnato in virtù d’una sperienza in ogni istante replicata, a chiamar bassa la Terra, verso cui noi ci sentiam di continuo dalla gravità portati, in giù quelle cose che ad essa Terra contigue sono, come il piedestallo d’una colonna, o i nostri piedi, e insù, ciò che da essa è lontano, come la cima d’un albero, o il nostro capo. Queste & altre simili idee il senso del tatto nello spirito d’un cieco nato reca con quella precisione con cui il senso della vista può nel nostro recar le idee de’ colori. Ora se noi tutto ad un tratto colla fantasia almeno leviamo a costui dinnanzi quella tela, che il Mondo visibile gli asconde, e consideriamo in qual maniera debba egli della situazione degli oggetti giudicare, noi potremo venire in chiaro per qual modo ne giudichiamo noi stessi, che le idee dell’alto e del basso abbiamo con esso lui comuni. Egli è certo, che da molto maggior maraviglia preso all’aprir degli occhi egli sarebbe, che non fu dopo quel suo sonno di tant’anni il famoso Epimenide dell’antichità, che risvegliato che fu, che che si fosse non riconosceva, e quella medesima terra non ravvisava, dov’egli era nato, e nutrito. Una nuova scena d’idee si spalanca a costui dinnanzi, una folla di novelle sensazioni inonda per questa