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Dialogo Terzo. 95

ghilterra, paese de’ fenomeni, e che vi potrebbe tuttavia e fx può dir naro cieco; molto più!»*_ SSSS^S^ Dotto Francefc, che fenza ave nè voce, ne orecchio, -intraprefe e lungi avanzo?c più vafte e dilicate ricerche falla Malica. Il tatto eli reca alla fatxtalìa idee molto più chiare SSISi che;non fa agli altri la f)***J* ^cere non avrebbe eglx a darvi ad»t«**4£ coteiìe voitre fonili, e tufellate dita la corner gent o divergenza de’ raggi? D’altra parte e x fanremmo, e che faremmo noi fenza il tatto? intpacTdx giudicar del fito, della dìfUnza e dcU & oggetti, ficcome avea profetizza o il Berkley, che più d’ogni altro a feifc coniUemo la Metafifica della vifione ed à verificato l’efperienza in alcuni, che curatx da catarattc nate con effi, nonne potean recar giudizio alcuno, prima che il ratio venuTc loro infoccorfo; irrita i dalla villa ad un fapere, ed a’ piaceri, a quali.noi non potremmo mai pervenire. Lanotra condizione farebbe peggiore di quella de cuitoferragli deli-Oriente. Le fperienze adunque, che facciam giornalmente col tatto, c miegnano che gli oggetti ifco diritti nella maniera, che c’infegnan, che fon fempHct, in certi (iti, in cene diftanze, e di certe forme. Non v a, cred’io, che il Befcartes, ch’abbia pretefo di dare con una fimilitudine, una fpiegazionc immediata di quefto diffidi fenomeno. Immaginatevi, die’ egli, di avere due canne in mano l’una nella delira - e l’altra nella fmiftra incrocciate in-