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94 Dialogo Terzo.

stan costoro nella loro ma ni era di guardare per un lungo ufo quel -medi-fimo abito, che noi nella, noiìra acquisiamo. Vi a a quello propofito una lmgolare, e curiofa ofl’ervazione fopra di uno, a cui per Sventura s’era diporto, e dislocato un’occhio. V edeva quefti fui principio tutti gli oggetti doppj, finche a poco a poco quegli che più familiari gli erano, cioè a dire quelli, fu’quali egli avea più fperienza del tatto, divennero femplici, e poi col tempo lo divennero anco gli altri, benché lo slocamento continuale. Io non dubito, che in virtù di quella fperienza, l’Argo da cent* occhi non vcdefTe la bella Fera, ch’era confidata dalla gelofa Giunone alla fu a cuftodia, e ch’egli cuftodì cosi male, niente più moltiplicata, che faceva Polifemo con un ibi’ occhio la fua Galatea.

Questa sperienza del tatto, disse la Marchesa, vi rende, per quel ch’io veggo, molto animofo. Vi renderà ella ancor tanto, che ofiatc ntraprendere con elfa la fpiegazione di ciò, che pur ieri, vi domandai: come gli oggetti dipinti neh? occhio al rovefeio, fi veggano diritti nel!’ animo? Le sperienze del tatto, rifpos’io, fi eftendono per avventura più in là, che voi non credete. L’idee della viltà fono rifpetto ad elio, ciò che quattro tratti di penna fono, paragonati ad un bel rilievo. Noi abbiamo avuto l’cfempio d’uno Scultore, che benché cieco fcolpiva però palpando de’ ritratti aliai tollerabili. E per le Dame credefi, eh* e’ non volefTe ri trarne la reità fenza il busto. Uno de' più gran Matematici dell’In-