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88 | Dialogo Secondo. |
gli orecchi, la bocca, il naso eran concavi per ricevergli dentro a fé, laddove l’occhio era convello per mandarli fuori. Fglino non ottante quelle belle ragioni anno ridono l’occhio ad e fiere una camera peifc riamente ofeura, rigettando, ed eftinguendo affano quella luce, che il più degli Antichi immaginavano ufeirne, fe non folle per avventura per gli augulti occhi di Tiberio, che fvegliato la notte, fecondo che dicefi, potea, come in chiaro giorno, per alcun tempo vedere; da’ quali dir fi vo Ielle che ne fchizzafle fuori qualche fcintilJa, o di qualche alrra perfona di confìderazione, che mcriuiTe fi facdle un’eccezione in grazia sua.
Farà mestieri, replicò ella, porre anche i garti tra le pei Zòne dt con lìd ci azione, e fare un’eccezione anche per loro - Faremo loro volontieri que IV onore, nipoi* io, ibi che fi contentino, che diciamo quella luce, che fi vede loro coni e uftir dagli occhi la nutre-, ad altro non fervere che ad illuminar gli oggetti, onde poi fe ne polla dipinger l’immaginerei l a loro retina; pofeiachè come i rifini re altre cole così la villane fi fa nella mede li. na maniera negli uomini che ne bruri. Anzi fi. può dire, che fi amo obbligati ad elio loro del veder man ìfdtam ente la maniera, onci’ ella fi fa; poiché per di inoltrarla fi fa ufo per 10 più d’un’occhio di qualche animale, come d’un bue, nel cui fondo, levate che ne fieno le pelli, fe fi porrà una fottiliffima carta, e perciò rr-’fparente, lì vedià in ella non altrimenti, che 11 faccia nella camera ofeura dipinta al rovescio