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il cartesio | 413 |
grande operazione chimica con che la Natura trasmuta le sue acque di salse in dolci, e fornisce di umore più ancora che non è bisogno, le vene delle fontane e dei fiumi1.
Nella ghiandola pienale, parte del cervello ignobile, corticale, escretoria, che talvolta ne’ cadaveri è mancante, ripose il seggio e il trono dell’anima, donde ella regna sulle parti tutte della persona che informa. Di modo che come si ha egli a dire che stieno nel corpo umano quelle anime meschinelle alle quali ha negato la Natura la propria fede e il domicilio, o lo ha loro demolito del tutto una qualche malattia? Su tali cose non giova fermarsi, né su altre a queste somiglianti; abbagli pur troppo chiari e palpabili di cotesto grandissimo ingegno.
Della sua Ottica nemmeno, celebre per altro per la facilità con che pare che spieghi certi fenomeni della luce e per le lunghe controversie di che fu cagione, non faremo parola, come di una immaginazione filosofica, convinta in ogni sua parte dalla giornaliera esperienza, si può dire, di falsità2; quantunque in Francia abbiano fatto quanto hanno saputo per sostenerla, e ci sia ancora chi per amore di lei non cessi di combattere e di armeggiare.
Né meglio ci colse il Cartesio nella soluzione delle quistioni più generali della Fisica. La qual soluzione pareva più facile il dedurla dalla causa prima, a cui si trovano essere in certa maniera più d’appresso. Le leggi di moto che osservano i corpi nello urtarsi tra loro e che vennero nel medesimo tempo discoperte dal Wallis, dal Wrenio e dall’Ugenio, furono uno de’ principali obbietti delle ricerche del Cartesio, come quelle che sono uno de’ principali fondamenti della scienza delle cose naturali.
Come egli in così fatta ricerca riuscisse, non si può meglio darlo
- ↑ «A ventis autem, quocunque feruntur, humores conglobati ex fontibus et fluminibus et paludibus et pelago, cum tepore solis continguntur, exhauriuntur, et ita tolluntur in altitudinem nubes: eae deinde cum aeris unda nitentes, cum perveniunt ad montes, ab eorum offensa, et procellis propter plenitatem et gravitatem, liquescendo disperguntur, et ita diffunduntur in terras» : Vitruv., Lib. Vili, cap. II.
- ↑ «La lumière de Descartes n’est donc pas la lumière du monde» : Encyclopédie art. Cartésianisme, t. II, p. 723.