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il cartesio | 407 |
in ogni loro parte dai dialoghi di Platone, nei quali Socrate è introdotto a parlare. E se giusta alle medesime regole non avessero indrizzato il ragionare Aristotele ed Ippocrate, già non sarebbono tuttavia opere classiche, come pur sono, i libri de’ Governi, della Rettorica, della Poetica e della Etica dell’uno, e gli Aforismi dell’altro.
Che se in alcune particolari quistioni della fisica errarono gli antichi, ciò avvenne non tanto per difetto che avessero del buon metodo di pensare o di logica, ma per difetto piuttosto di strumenti e di mezzi, de’ quali sono ora forniti i moderni.
Bensì convien dire che fosse smarrito ogni buon metodo di pensare, quando tra le tante sottilità scolastiche, tra le vane loro quistioni e diffinizioni inintelligibili, quando tra quella nebbia di parole che tenevan luogo di cose, fu per tanti secoli travviata la ragione dei filosofi. Ma a dissipare tanta oscurità, che accecava il mondo, non fu già primo ad alzar la lumiera il Cartesio. Rogero Bacone, Niccolò da Cusa, Telesio, Campanella, il gran Copernico ed altri molti guidarono essi la schiera. Presero animosamente le armi contro agli scolastici; e se non venne lor fatto di riordinare la Filosofia, mostrarono almeno il disordine in cui ella era. E niuno certamente vorrà defraudare della tanta lode che gli è dovuta, quel vastissimo ingegno del Cancellier d’Inghilterra, Bacone di Verulamio, il quale fu come il direttore delle belle opere altrui, e disegnò ne’ suoi scritti la pianta
torum, quibus Logica referta est, sequentia quatuor mihi suffectura esse arbitratus sum, modo firmiter et constanter statuerem, ne semel quidem ab illis toto vitae meae tempore deflectere. Primum erat, ut nihil unquam veluti verum admitterem nisi quod certo et evidenter verum esse cognoscerem; hoc est, ut omnem praecipitantiam atque anticipationem in iudicando diligentissime vitarem; nihilque amplius conclusione complecterer, quam quod tam clare et distincte rationi meae pateret, ut nullo modo in dubium possem revocare. Alterum, ut difficultates quas essem examinaturus, in tot partes dividerem, quot expediret ad illas commodius resolvendas. Tertium, ut cogitationes omnes quas veritati quaerendae impenderem certo semper ordine promoverem: incipiendo scilicet a rebus simplicissimis et cognitu facillimis, ut paulatim et quasi per gradus ad difficiliorum et magis compositarum cognitionem ascenderem; in aliquem etiam ordinem illas mente disponendo, quae se mutuo ex natura sua non praecedunt. Ac postremum, ut tum in quaerendis mediis, tum in difficultatum partibus percurrendis, tam perfecte singula enumerarem et ad omnia circumspicerem, ut nihil a me omitti essem certus»: in Dissertatione de Methodo, [II],