Pagina:Algarotti, Francesco - Saggi, 1963 - BEIC 1729548.djvu/325


la giornata di zama 319

ed ebbe tanta parte in questa istessa giornata di Zama1. Polibio dice soltanto che quella nuova ordinanza fu fatta in riguardo agli elefanti di Annibale, la cui furia non trovando contrasto, dovesse ire a voto, né parla di altri intendimenti che sotto ci avesse Scipione; e per niente non tocca quello che a parte a parte descrive il Cavalier Folard, che Scipione, per nascondere i suoi disegni al nemico, da prima si ordinasse al modo usitato de’ Romani e dipoi mutasse la ordinanza. Né per verità a Scipione occorreva il farlo. Ché già egli avea provveduto d’avanzo a nascondere i suoi disegni coll’aver poste alcune bande di Veliti negl’intervalli fra le coorti della prima schiera; e con essa prima schiera tutta piena e continua presentandosi all’esercito nemico, Annibale non poteva accorgersi come fosse ordinata la seconda schiera, essendo ambidue gli eserciti in una pianura2.

Niente neppure trovasi nel testo da fondarvi su quella grandezza degli spazî, o sia la distanza tra le bande degli Astati, de’ Principi e de’ Triarî, quale la pone il Folard. Che anzi sarà facile a trovarvi, chi ben considera, di che fortemente impugnarla. Il Folard fa quella distanza picciolissima, di quattro soli passi, e non più; e dalle parole di Polibio si può raccogliere che fosse maggiore di assai. Chiaramente apparisce, da quanto si è riferito, che l’unica cosa in cui si dipartì Scipione dalla consueta ordinanza dei Romani, fu nel collocare le bande delle tre schiere le une alle spalle delle altre, e che quanto al rimanente ei non fece novità alcuna. Non istaremo qui a esaminare qual distanza fossero soliti porre i Romani tra le schiere dell’esercito, ovvero qual fosse lo spazio che rimaneva tra gli Astati e i Principi, e tra questi e i Triarî. Variarono tali cose in differenti tempi, siccome mostran coloro che più addentro han pene-

  1. ὧν εἷς ἦν Γάϊος Λαίλιος ἀπὸ νέου μετεσχηκὼς αὐτῷ παντὸς ἔργου καὶ λόγου μέχρι τελευτῆς, ὁ ταύτην περὶ αὐτοῦ τὴν δόξαν ἡμῖν ἐνεργασάμενος, διὰ τὸ δοκεῖν εἰκότα λέγειν καὶ σύμφωνα τοῖς ὑπ᾿ ἐκείνου πεπραγμένοις.Ἔφη γάρ etc.: Polyb., Lib. X, cap. II, n. 3.
  2. τῶν δὲ πρὸς φυγὴν ὁρμησάντων, ὀλίγοι μὲν τελέως διέφυγον, ἅτε τῶν ἱππέων ἐν χερσὶν ὄντων, καὶ τῶν τόπων ἐπιπεδῶν ὑπαρχόντων: Id., Lib. XV, cap. I, n. XIV.