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:: L'eredità di mia zia 13


«No, — rispose ella, — non mi fare questa confusione. E poi dove metterli? una volta c’erano le sue scansie, ma adesso non c’è più niente».

Passarono quattro autunni: io andai bensì a trovare la zia, e lei a mezzodì, per farmi onore e festa, spiegava la tovaglia grossa di bucato e levava da un credenzino il vasetto dei suoi carciofini: trovava anche una qualche bottiglia di quelle che formavano la dolce cura autunnale di suo marito e dicea, «credo che sia l’ultima»; ma dei libri non se ne fece niente. Il quarto autunno, ordinai lei, la povera zia, in una cassa, che era anche lei di abete, ma molto più piccola di quella dei libri. La povera zia Laurina era così mingherlina!

Vi stava comodamente benchè avesse indosso l’abito da sposa: un abito di seta nera cordonata, che ella da cinquanta anni teneva in serbo per quest’ultimo rito, che i suoi occhi non videro. Veramente quando un contadino e una donna sollevarono sul