Braccio da quel di lei la rivolgea
Verso il marmoreo ponte, e dalla bella 252Velata faccia tramandar parea
Lampo sì acuto in fronte alla Donzella,
Che del caliginoso anto ad onta 255Le rallumava l’annebbiata stella.
La varia effigie penetrò sì pronta
Là dove la pensosa Alma in sè stessa 258Con quel, che udì, la visíon raffronta,
Che in quel nodo ragion conobbi oppressa
Dal proprio amor malnato, e al gran cimento 261Rinvigorita dalla luce spessa
Della Fè sacra, che in eletto argento
Tai lettre al manto avea tessute: Io sono 264Delle invisibil cose alto argomento.
Ma nè le spinte in giù senza dar suono
Acque io compresi, nè quel monte quasi 267Lasciato ai bruchi e ai serpi in abbandono.
Quindi alla Guida, che de’ scuri casi
La caligin m’apría, richiesi aita 270Fra i pensier foschi, ov’io dubbio rimasi;
Ed Egli mi rispose: Il fiume addita
Il continuo degli anni ordin secreto, 273Che le terrene, inerti, o che abbian vita,
Frali sostanze urta, e si tragge dreto;
E bench’ei tutte struggale nel volo, 276Precipitosamente fugge cheto.
Quel che par monte, aspra congerie è solo
Di fastose ruine, e di spezzati 279Scettri, e trofei sparsi dal tempo al suolo,
Sovra cui tra flagelli ed intrecciati
Spini stassi d’Onor l’unica insegna, 282Nota alle prische e alle novelle etati,