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quarta 63

Braccio da quel di lei la rivolgea
     Verso il marmoreo ponte, e dalla bella
     252Velata faccia tramandar parea
Lampo sì acuto in fronte alla Donzella,
     Che del caliginoso anto ad onta
     255Le rallumava l’annebbiata stella.
La varia effigie penetrò sì pronta
     Là dove la pensosa Alma in sè stessa
     258Con quel, che udì, la visíon raffronta,
Che in quel nodo ragion conobbi oppressa
     Dal proprio amor malnato, e al gran cimento
     261Rinvigorita dalla luce spessa
Della Fè sacra, che in eletto argento
     Tai lettre al manto avea tessute: Io sono
     264Delle invisibil cose alto argomento.
Ma nè le spinte in giù senza dar suono
     Acque io compresi, nè quel monte quasi
     267Lasciato ai bruchi e ai serpi in abbandono.
Quindi alla Guida, che de’ scuri casi
     La caligin m’apría, richiesi aita
     270Fra i pensier foschi, ov’io dubbio rimasi;
Ed Egli mi rispose: Il fiume addita
     Il continuo degli anni ordin secreto,
     273Che le terrene, inerti, o che abbian vita,
Frali sostanze urta, e si tragge dreto;
     E bench’ei tutte struggale nel volo,
     276Precipitosamente fugge cheto.
Quel che par monte, aspra congerie è solo
     Di fastose ruine, e di spezzati
     279Scettri, e trofei sparsi dal tempo al suolo,
Sovra cui tra flagelli ed intrecciati
     Spini stassi d’Onor l’unica insegna,
     282Nota alle prische e alle novelle etati,