Sciolta dal grave giogo avida io corsi
Per recar pronto all’onta infame ajuto, 450E insiem rimedio agli amorosi morsi;
Ma il Ciel sdegnò col più crudel rifiuto
L’indegno nodo, e dell’Amante in vece 453Agli occhi il suo m’offrì cadaver muto,
Lacerato da quante a un corpo lece
In sè ricever piaghe, in cui le aperse 456Ferro ignoto, che fier scempio ne fece.
In quelle di pallor livido asperse
Membra, che pria parvermi sì leggiadre, 459Col guardo il cor attonito s’immerse;
E allor confusa dall’orride squadre
De’ miei delitti, e dall’amor rapito, 462E dall’agitatrice Ombra del Padre,
Piegai di morte al disperato invito,
E alla stessa feral tazza, che uccise 465Il Genitor, io posi il labbro ardito.
Ben all’egro mio fianco il pio s’assise
Del Ciel Ministro, e quel, che a Dio non piacque, 468Corso degli anni ad esplorar si mise.
Piansi, è ver, che il perduto idol mi spiacque,
Non l’error, che mi fe’ creder felice, 471Che la lingua in morir perfida tacque.
Così amando, e tacendo all’infelice
Terra d’affanno e d’ira io giunsi, e trassi 474Meco l’infetta del mio mal radice.
Or veggio ovunque gli occhi io volga lassi
Qual seguii ben fallace. Era egli forse 477Degno, che tal per lui doglia io provassi?
Ah! dove è il loco e l’ora, e amor, che porse
L’esca, a me pria sì dolce, or troppo acerba? 480Oimè! che tutto in un balen trascorse.