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terza 47

Già divenìa soave al petto infermo
     La scellerata febbre, ed era, ahi lassa!
     417Dolce a me vinta il non trovar più schermo.
Quindi, poichè ogni segno amor trapassa,
     Da que’ tenaci nodi, in cui m’avvolsi,
     420Stretta, agitata, accesa, e d’arder lassa,
L’ultimo in preda all’Amator disciolsi
     Freno di mia virtude. Oimè! che feci?
     423Oimè! per dargli vita a me la tolsi:
Ch’io dal suo pianto e dalle vive preci
     Spinta, ma più dal mio furor, aggiunsi
     426Falli al gran fallo in raddoppiate veci;
E tal dell’error mio frutto congiunsi
     Alle viscere mie, che d’atra fama
     429Pel vicin danno a inorridirmi io giunsi.
Nel duro stato, e in sì discorde brama
     D’amar chi m’offendea, d’odiar l’offesa
     432Col dubbio cor, mentre odia a un tempo, ed ama,
Tentai mille arti, ond’io già grave resa
     Scuotessi il peso accusator dal grembo;
     435Ma il colpo errò nell’omicida impresa.
De’ miei desir contrarj allor fra il nembo
     Al peggior dei pensier tristi m’attenni,
     438Qual chi in mar del naufragio erra sul lembo;
E contro al Padre mio cruda divenni
     Tigre, e con mani in mal oprar non rozze,
     441Quello, ond’io nacqui, di tradir sostenni;
Ch’ei sol potea le temerarie e sozze
     Mie fiamme vendicar col sangue reo,
     444E a me vietar le inonorate nozze.
Oh mie colpe! oh mie furie! Egli perdéo
     La vita col velen, ch’empia gli porsi,
     447E fra sì ingrate braccia alfin cadéo.