Ch’io scorgo ora dal ciel la taciturna
Fronte piegar su le mie gelid’ossa, 444E porger voti alla mia pallid’urna.
Ben l’immensa di Dio virtude mossa
Dall’altrui preci anche i miei membri spenti 447Renderà illustri nell’opaca fossa,
Che al mio pien del suo nome ubbidíenti
Vedrai le pesti e l’atra fame esangue, 450Il procelloso mar, le nubi, i venti,
Le febbri ascose nel torpor del sangue,
L’acerbe piaghe, e l’implacabil morte; 453Ch’ove grazia abbondò, poter non langue.
Tacque; e l’altare sfavillò sì forte,
Ch’io non so come a quel balen rivolsi 456Il piede fuor delle tremende porte;
Nè più il tempio rividi: e mentre volsi
Smarrito al ciel lo sguardo, e fuggitivo 459Negli occhi miei subitamente accolsi
Di tre fonti di luce un fonte divo,
Dintorno a cui scritto da folgori era: 462Mistero incomprensibile ad uom vivo.
Ei spinto ardentemente alla sua sfera
Disse, stringendo al mio l’amico lato, 465Va, pensa, impara, e prega, e piangi, e spera;
E in abbracciarme il sen mostrommi armato
D’un’aurea Croce, e da una face bella, 468Come servo d’amore il cor lustrato;
Ed i vibrati rai da questa a quella
Tal ricco di splendor diffondean fiume, 471Qual se gli scintillasse ivi una stella.
All’alto allora ei dispiegò le piume,
E quanto ascese più, men chiaro apparve; 474Alfin perdendo il suo nel maggior lume,
Si mise dentro al gran Mistero, e sparve.