E tal ribrezzo misto a fredde stille
D’atro sudor m’irrigidì le avvinte 81Mani al sostegno mio, che quasi aprille
Fra cento vane al mio pensier dipinte
Idee, che furo in un momento accolte, 84E cangiate, e riprese, e insiem rispinte.
Sconsigliato tentai colle rivolte
Piante, e al dirupo fitte, arcando il dorso, 87Arrampicarmi alle pietrose volte;
Ma il piè a toccar la roccia appena scorso
Era, che il ritirai, dubbio qual fosse 90Peggior o il mio reo stato, o il mio soccorso;
Perchè all’arbor, che al grande urto si scosse,
Temei col raddoppiar l’infausta leva 93Sveller affatto le radici smosse.
Grida tronche da fremiti io metteva,
Che dai concavi tufi e dalle grotte 96Un eco spaventevol ripeteva.
Già dal forzato ceppo aspre e dirotte
Sul corpo mi piovean ghiaje ed arene, 99E l’ime barbe già scoppiavan rotte:
Già l’Alma ingombra avean larve sì piene
Di morte, che pareami, anzi io sentía 102Le inghiottite acque entrar fin nelle vene;
Perchè il vortice infranto, che salía
In larghi spruzzi dai spumanti seni, 105Col ribalzato mar mi ricopría.
Quand’ecco cinto da raggi sereni
O corpo, od ombra verso me si spinse, 108Che gridò forte: In me t’affida, e vieni;
Vieni; e la destra mia prese, ch’ei strinse
Colla sua manca mano, e con un salto 111Delle mie lasse membra il peso vinse.