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undecima 227

Ma ritorcendo in lei da tanta altezza
     I rai, m’avvidi in riguardarla fiso
     414Che aggiunta al volto avea nova bellezza.
La fronte lieta crescea grazia al viso,
     E due leggiadri solchi in su le tinte
     417Guance di rose aprìa soave il riso.
Fresche aure, e di color celesti pinte
     Scherzando fean tra mille odori e mille
     420Le brune sventolar chiome discinte.
Le nere luci d’amorose stille
     Di gaudio umide il sen bagnavan miste
     423A pioggia di chiarissime scintille.
Tutto quel ch’era in lei, se non di triste,
     Di grave almen sembrommi che vestisse
     426Forme rare, e beltà non mai più viste.
Ella, che il guardo in me sereno affisse,
     Del mio maravigliar poiché s’accorse:
     429Oh me felice! ecco omai giunto, disse,
L’aspettato momento. A me già porse
     La diva esca quel Dio, che in seno accolsi,
     432Di cui più Morte non porrammi in forse.
Sento pel sommo voi, ch’io mi disciolsi
     Dai lacci miei. Veggio i celesti liti,
     435Veggio il vero Oriente, a cui mi volsi.
Or come fia, che a seguir me t’inviti?
     Se amante sei, pari in amar ti rendi
     438A me, che l’amor mio chieggio, che imiti.
Pensa, che ne’ singulti estremi attendi
     Il foco esplorator d’ogni opra chiara,
     441Che in essa anche il chiaror medesmo emendi,
E che non mai da questa valle amara
     Giunger puote, ove regna Amor beato,
     444Chi a ben amar quaggiù pria non impara.