Destossi l’ardor mio più forte, e avvolse
Col primo laccio il cor, cui valse poco 216L’error suo, che il deluse, e nol disciolse.
Sentii, quando il dì sorse, e quando il loco
Cesse alla notte, che squallida crebbe, 219L’immagin tua spirarmi affanno e fuoco,
E fin la mia ragion stessa m’increbbe,
Che tante in meditar sotterra mute 222Tue doti il duolo e il desiderio accrebbe.
La triste allor bramai mia servitute;
E quella, che parea tua crudeltate, 225Col vero nome suo chiamai virtute;
E per sì raro aggiunto a tua beltate
Pregio e fulgor l’avvelenato strale 228Più acerbe m’inasprì le piaghe usate.
Ahi lasso! or so, che l’Alma a fuggir l’ale
Non ha, se Amor contrasta; ed or m’avveggo, 231Che Amor, che da virtù nasce, è immortale.
Quindi spinto da lui l’ultima chieggo
Aíta in sì romite ingrate piagge, 234Ma pur felici, perchè in lor te veggo.
Deh! almen col suon delle parole sagge,
Poichè il volto gentil tu non m’ascondi, 237Fa che un lampo di speme in sen m’irragge.
Ma tu pensi? tu guardi, e non rispondi?
Pel cener tuo, per quella pace eterna, 240Che in te s’annida, e fuor di te diffondi,
Per la tríonfatrice aura superna,
Che il volo all’Ombra tua mirabil dona, 243Sciogli la lingua, e il mio tempra e governa
Folle desir, che a vaneggiar mi sprona.
Che se colla mia voce Amor t’offese, 246Tu che il movesti in me, tu mel perdona.