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undecima 217

Ch’io m’avvidi esser nido, in cui rinforze
     Vipera, od aspe il giovanil veleno
     84Dalle svestite loro aride scorze.
Nudo squallor, mesto silenzio, e appieno
     Sterili, e di beltà piagge sfornite
     87Mi poser quasi a seguir oltre il freno;
Ma lo scopo destò le sbigottite
     Voglie, e sì forte il corpo mio sospinse,
     90Che le sabbie dal piè striser più trite.
Nè il desìo fra il cammin lungo s’estinse,
     Anzi addoppiò il vigor per vincer tutto
     93Quel solitario loco; e alfin lo vinse.
Giunto dove il mio duol m’avea condutto,
     Mirai cinto d’altissime colonne
     96Un monumento di funebre lutto,
Nella volta di cui con varie gonne,
     E d’elette virtù coi segni vari
     99Sculte in pietra sedean piangenti Donne.
Sotto i curvati, e fra di lor contrari
     Archi reggenti la testuggin erta
     102Stava di marmi peregrini e rari
Tomba feral, ma nel coverchio aperta,
     Che parea da tremoto, o turbin fiero
     105Pel diroccato suo colmo scoperta.
Vergate d’oro in un macigno nero
     Tai brevi rilucean lugubri note:
     108Sacro all’ottimo Dio massimo e vero.
Quella, che fia specchio all’età rimote
     Del vedovile onor, che afflitto or tace,
     111Nota in pietade anche alle genti ignote,
Amennira (ahi che lessi!) oimè! qui giace.
     Chiunque l’orme in queste sabbie imprime,
     114Riposo preghi alla sciolt’Alma e pace.