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E strignerei le fredde mani eburne
     Con tanti d’amor segni e di pietade,
     51Che invidia ancor n’avrian l’altr’ossa e l’urne.
Così, qual spesso a chi delira accade,
     La mente fuor di sè nel duol rapita
     54Dicea, spingendo per ignote strade
La salma sua stupidamente ardita,
     Che i pian diversi alle pupille offerti
     57Non vedea, perchè l’Alma era smarrita.
Poichè a sè ritornò dopo gl’incerti
     Flutti de’ suoi pensier l’Anima errante,
     60Mi trovai dentro a vasti campi aperti,
In cui non allignò mai verdeggiante
     Erba, nè pinto fior, nè irrigò fonte
     63Con limpid’acque le frondose piante:
Non rupe nuda, nè selvoso monte
     Ivi s’ergea; ma sol di sabbia piene
     66Valli ampie si perdean coll’orizzonte,
Sfumando i confin lor nelle serene
     Vie dell’etere azzurro. Unica al guardo
     69Lungi splendea nelle solinghe arene
Mole alta fin dove ferir può dardo;
     E colà il grande, e non più visto obbietto
     72M’invitò il passo per tristezza tardo.
Sul terren da qualunque arte negletto
     Maravigliando io già, che l’occhio avvezzo
     75Sì a lungo fosse a non mai vario aspetto;
Ch’io dal sol non varcava all’ombra e al rezzo,
     Ma sempre egual fendea lume, e la stessa
     78Aria nullo spirante odor, nè lezzo;
E sol qua e là della men grave e spessa
     Arena sorgea fuor con fiacche forze
     81Macchia di spini appena sorta e oppressa,