Unica avea in duo cor posta radice 216La tua fiamma, e partendo ad essi eguale
Speme e piacer era d’entrambo ultrice.
Fin gli stessi pensier, benchè dal frale 219Velo nascosi, per secreta forza
A pari meta dispiegavan l’ale.
Reggeami l’Alma, e la caduca scorza 222Lo Sposo mio col giogo tuo, che molce
I duri affanni, e a rallentar gli sforza:
Dolce a lui era impor quella, che folce 225L’alterno pio dover, legge soave;
Ed a me l’ubbidirla era più dolce:
Così fra i varj moti, onde il cor ave 228Gaudio, pena e timor, traemmo vita,
Di cui altri non mai trasse men grave.
Ma giunse alfin per me l’ora compita 231Del terren corso, contro cui nè lutto,
Nè prece, nè sospir mai porse aíta.
Me nel mio grembo a illanguidir ridutto 234La Prole uccise, e quel che d’amor era
Pegno, divenne di mia morte il frutto.
Allor, poichè vid’io fra così fiera 237Lutta l’opre del mio Sposo, e i pensieri
Tranquilli presso alla fatal mia sera,
Oimè! gridai, che Amor t’asconde i veri 240Segni, che pur su l’egra fronte io schiudo;
Oimè! che Amor t’inganna, e invan tu speri.
Ma quando lascerà lo spirto ignudo 243Gelida la mia spoglia, ah! quanto fia
Non aspettato il tuo dolor più crudo.
Fra tai voci la man, ch’egli m’offría, 246Strinsi e baciai; e in sì pietoso nodo
Uscì dal carcer suo l’Anima mia.