Giudica or tu, se puoi, qual turbin denso
Di pene eguale al tempestar marino 579Con acerbo l’assalse impeto intenso.
Sappi, che a morte fu quel cor vicino,
Cui spada sì crudel le fibre infranse; 582Che fu sommo il dolor, perchè divino.
E tu, se pietà vera il duro franse
Vincol de’ falli tuoi, bacia devoto 585La spada, e adora in lei quella che pianse.
Poichè l’Angelo appien pago il mio voto
Rese, l’ordin svelando atroce e scabro 588Di sì gran lutto agli occhi umani ignoto,
Appressò al labro mio la spada, e il labro
Ne toccò appena il fil tagliente e crudo, 591Temprato a doglia dall’eterno Fabro,
Chè nè il loco, o la Diva a me fe’ scudo
Contro all’immenso affanno, e caddi, e svenni, 594Qual cade a terra un Uom di vita nudo.
Ben fu dono del Ciel, ch’io non divenni
Cadaver freddo, e fra cotanta asprezza 597A pascer le vitali aure io rivenni.
Ma d’allor nacque in me una fonte avvezza
Perpetuo ad isgorgare umor pietoso 600«Dal cor pien d’amarissima dolcezza.
Mentre i miei primi uscían dal sen doglioso
Segni di lutto, un’Alma il canto sciolse 603Fra quelle or ora ascese al gran riposo,
E gridò: Gloria a Lui, che in gaudio volse
Le nostre pene, e col suo Sangue sacro 606Que’, che il fallo annodò, ceppi ne tolse.
E tu, che al suo morir festi lavacro
Di lagrime divine i lumi tuoi, 609Odi i caldi, che a te voti consacro: