Ma già dell’ampia Valle a noi le apriche
Piagge apparían, di vaghi fior coverte 315E di verdi erbe a impallidir nemiche.
Alle dolci acque da’ bei rivi offerte
Giacca prostrata innumerabil turba 318A braccia stese e colle labbra aperte;
E l’acque, il corso a cui mai non perturba
Limo od alga, scendean da un monte alpestre, 321Cui nebbia o nube il capo altier non turba,
Perchè ardea su la cima alta e silvestre
Sì chiaro un Sol, che par di raggi privo 324Quel che sorge a fugar l’ombra terrestre.
Talor sembrava inaridirsi un rivo,
Mentre un altro da lungi entro le sponde 327Gonfio crescea di limpid’acque e vivo.
Nè l’eterna, che in lor virtù s’infonde,
Valea soltanto ad ammorzar la sete, 330Ma purissimo il cor rendean quell’onde.
Qui fin del Globo dall’oscure mete
Vario accorrea popol di volti e lingue; 333E quel, che i campi dell’aurora miete,
E quel, cui dal color bianco distingue
Nell’arsa Etiopia l’annerita pelle; 336E quel, cui lunga notte il giorno estingue
Là dove regna il freddo Arturo, e svelle
Dalle piante il vigor coi moti pigri 339Delle sue tarde aquilonari stelle.
Qui adorno pur delle squojate tigri
Stuolo d’abitator fieri si tragge 342Dal grand’Eufrate e dall’Armeno Tigri.
Nè delle nuove Americane spiagge
Manca il rozzo cultor, oh colpa infame! 345Uso le belve ad imitar selvagge