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sesta 107

Io son colei, che ferma in cor ti giacque
     Ad onta tua per avviarlo altrove.
     117Mirami; e sfavillò più chiara, e tacque.
Per le parole sparve elette e nuove
     La maraviglia, e un santo in me s’infuse
     120Ardir, che l’Alme pie conforta e move;
Ond’io le labbra, che il timor già chiuse,
     Facili aprendo: Alma real, risposi,
     123Chi tanta nel mio sen grazia diffuse,
Che te inviti dall’alto, ove riposi
     Fra lo splendor di tua letizia e pace,
     126A ritentar le vie de’ chiostri ombrosi?
Ben fu voler divin, cui sceglier piace
     Moti più ignoti all’Uom, ch’io in me volgessi
     129Quel pensier tanto in sua fermezza audace,
E che in mente di Dio tu lo vedessi,
     Perchè l’idea della tua morte amara
     132Col tuo bel volto a rischiarar scendessi;
Ed empiendomi il cor di luce rara
     Lo rendessi in amar servo di lei,
     135Che fu la grande Ancella a Dio più cara.
Ma perchè in me tu spegna i dubbj miei
     Sorti in mirar, che su le nubi e il tuono
     138Le spine porti, onde fregiata sei,
Dimmi, e il mio dir merti da te perdono,
     Quai t’afflissero spine? E forse queste
     141Pungon quaggiù l’Alme serbate al trono?
Fra l’aspre, ella soggiunse, onde funeste
     Del crudo mare, o grave siasi, o lieve,
     144Soffre ogni prora i venti e le tempeste.
Ma che più indugi? Omai t’appiglia al breve
     Sentier, che nel condurti al santo obbietto
     147Beati gli occhi appien render ti deve.