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sesta 105

E dall’azzurro e dal vermiglio grembo
     Rai ne sgorgáro or agitati, or cheti,
     51E ondeggiamenti del focoso nembo,
E globi, che splendean come pianeti,
     E lucide corone, ed archi, e liste,
     54E argentee volte, e pescarecce reti.
Ben conobb’io nel meditar le viste
     Fiamme dipinte, e con mirabil’ arti
     57Raccolte da Natura, e fra lor miste,
Che i sottili nitrosi efflussi sparti
     Dal gelo acuto per gli aerei campi
     60Salír del zolfo ad irritar le parti
Dal sole attratte, quando avvien, che avvampi
     Alto del Cane sotto l’ignea stella,
     63E allor scoppiáro in color varj e in lampi.
Sparía, poi riaccendeasi ogni facella;
     Ed era or l’ostro illanguidito, ed ora
     66Fea di vivo fulgor mostra novella.
Quand’io mi volsi a rimirar, se ancora
     Stesi avesse i bei raggi al lato manco
     69Ne’ moti suoi la Boreale Aurora;
E volto appena, ecco mi vidi al fianco
     Una Donna Real di strisce aspersa
     72Incatenate a spine il manto bianco.
Poichè alla sua la fronte ebbi conversa,
     Muto per maraviglia ad una ad una
     75Scopría le forme dell’immagin tersa.
Fascia di luce avea, dove s’aduna
     Il più folto del crin: bruno era il crine,
     78Che la faccia lambía fra il roseo bruna:
Le nere ciglia con egual confine
     Doppio fean sottll arco al cerchio nero
     81De’ rai, che cinto ardea d’argentee brine.