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quinta 91

Altri da lunga fame omai spossati,
     Non pel velen, ma pel languore infermi,
     348Fra l’altrui membra putride sdrajati;
Ed altri in lor natío vigor più fermi,
     Benchè lasciati sotto i corpi estinti,
     351Sórti fra l’ossa accatastate e i vermi;
Ma di squallor mortifero dipinti,
     E per orecchie róse, e labbra mozze
     354Dai volti umani in modo fier distinti.
Le illustri Donne a par delle più rozze
     Al comun fonte per attinger l’acque
     357Gían nude il piede, e il crin incolte, e sozze;
E chi di lor nel sonno eterno tacque
     A un lieve sorso, e chi raminga e sola
     360Pria di giunger al fonte esangue giacque.
Gli amici, cui parte d’affanno invola
     L’alterna vista, si guatavan fiso
     363Nel mesto incontro senza far parola;
Poi fra il duol ristagnato all’improvviso
     Sì dirotte spargean lagrime acerbe,
     366Che avrían un sasso per pietà diviso.
Talor silenzio, qual avvien, che serbe
     L’aria muta fra inospiti deserti
     369Colmi di sabbia, e d’acque privi e d’erbe,
E singhiozzi talor fiochi ed incerti;
     Poi strida alte e ululati, e in flebil metro
     372Querele erranti per gli spazj aperti,
Sì che il lor suon acutamente tetro
     Crescea più raddoppiato, e in sè confuso,
     375Dal mar, dai monti ripercosso indietro.
Ogni tempio era infaustamente chiuso:
     Immoti i sacri bronzi, e alle notturne
     378Lampade tolto di risplender l’uso: