Dal losco Duce dell’ostil Cartago,
E i Veliterni colli, e d’Anzio il porto, 216Che serbò il nome, e non l’antica immago,
E il mar, che spesso ha del Vesuvio assorto
Gl’ignei torrenti, e Lipari, che oscura 219L’aere col fumo di sotterra sorto;
Poi sorvolando all’ultima pianura,
Di Calabria pervenne ai lidi estremi, 222E del Giulíaco Reggio entro le mura.
Sembráro allor del natío foco scemi
I destrier, che scendendo a lento passo 225Lasciár dell’aure i vortici supremi;
Ma la mia Guida, il tardo moto al basso
Piano, disse, è voler di chi li regge, 228Non dei corsier pigro vigore, o lasso,
Perchè tu vegga un loco, in cui sul gregge
In parte infido il gran Pastore eterno 231Vendicherà la profanata Legge.
Non che questo più ch’altro empio governo
Fésse dell’amor suo; ma tanto lutto 234Sua pietà chiese al suo rigor paterno.
Il funereo vapor per vie condutto
Ascose assalirà la terra infausta, 237Benchè divisa da sì largo flutto;
E dove ora a lei splende amica e fausta
Luce del Ciel, fia in breve ogni pupilla 240Pel troppo lagrimar di pianto esausta.
Io, che in quella mirai gente tranquilla,
O fra i grati ozj, o fra le vane cure 243Nulla del morbo reo serper favilla,
Esclamai sospirando: Oh cieche, oscure
Umane menti, cui non mai si schiude 246L’avvenir carco delle pene dure!