E tutto questo insiem, ch’io mi confonda.
Or poichè avvien, che al mio turbato ingegno 150Per te grazia dal Ciel nuova s’infonda,
Chieggo perdon, se poca fede indegno
Di sì rara pietà mi rese, e teco 153Pago di te pel liquid’aere io vegno;
Ma ovunque io vada, la caligin meco
Porto, che al nascer mio lo spirto avvolse 156Tardo a indagar le ragion alte, e cieco.
Tu, che sai quante il malor atro accolse
Fiamme nel pronto incrudelir sì acute, 159Svela i principj ascosi, ond’ei si sciolse;
Che onor tuo fia destar in me virtute
Coll’immago de’ mali, e all’uman seme 162Coll'aperta cagion recar salute.
Forse il fier morbo il sol fervido spreme
Da stuolo immenso di locuste estinte, 165Che l'Etiopi arene ingombra e preme?
O dalle fogne dentro al Nilo spinte,
Là ’ve l'Egizia Menfi in duo divide 168Coll'acque in limo di cadaver tinte,
Sorge esso allor che l’erbe e i fiori uccide
La vampa estiva, e allo scemar dell’onde 171Le chiuse agita in sè forze omicide?
Chè ognor le merci, ove il velen s’asconde,
Tratte all’occaso dall’australi terre 174Furo, e di strage a noi giunser feconde.
O forse avvien, ch’esso in perpetue guerre
L’Uom tenga, ed or a quelle parti, o a queste 177Gonfio dell’ire sue ritorni, ed erre?
Deh! dimmi quai sieno ai mortali infeste
L’acide, o l’acri, o l’alcaline parti, 180Di cui lo struggitor tosco si veste;