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quinta 85

E tutto questo insiem, ch’io mi confonda.
     Or poichè avvien, che al mio turbato ingegno
     150Per te grazia dal Ciel nuova s’infonda,
Chieggo perdon, se poca fede indegno
     Di sì rara pietà mi rese, e teco
     153Pago di te pel liquid’aere io vegno;
Ma ovunque io vada, la caligin meco
     Porto, che al nascer mio lo spirto avvolse
     156Tardo a indagar le ragion alte, e cieco.
Tu, che sai quante il malor atro accolse
     Fiamme nel pronto incrudelir sì acute,
     159Svela i principj ascosi, ond’ei si sciolse;
Che onor tuo fia destar in me virtute
     Coll’immago de’ mali, e all’uman seme
     162Coll'aperta cagion recar salute.
Forse il fier morbo il sol fervido spreme
     Da stuolo immenso di locuste estinte,
     165Che l'Etiopi arene ingombra e preme?
O dalle fogne dentro al Nilo spinte,
     Là ’ve l'Egizia Menfi in duo divide
     168Coll'acque in limo di cadaver tinte,
Sorge esso allor che l’erbe e i fiori uccide
     La vampa estiva, e allo scemar dell’onde
     171Le chiuse agita in sè forze omicide?
Chè ognor le merci, ove il velen s’asconde,
     Tratte all’occaso dall’australi terre
     174Furo, e di strage a noi giunser feconde.
O forse avvien, ch’esso in perpetue guerre
     L’Uom tenga, ed or a quelle parti, o a queste
     177Gonfio dell’ire sue ritorni, ed erre?
Deh! dimmi quai sieno ai mortali infeste
     L’acide, o l’acri, o l’alcaline parti,
     180Di cui lo struggitor tosco si veste;