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quinta 83

Per cui nè venenato aer, nè pianeta
     Di mortiferi semi agitatore
     84Te render salvo in mia virtù mi vieta.
Or di te stesso lo sfrenato amore
     Fa che contrasti a immago util, ma trista
     87Da voglie ingombro allettatrici il core,
Che rara avesti al gioir falso mista
     Parte aspra, e l’Alma a inorridir non usa
     90Fu mai de’ mali alla terribil vista.
Ma grazie rendi al Ciel, che la delusa
     Ragion conosca i suoi sì dolci inganni,
     93E lume acquisti infra il terror confusa.
Oh quai teneri, forti, acerbi affanni
     Mentr’io vissi al mio sen fér lunga guerra!
     96Quanto industre il dolor fu ne’ miei danni!
Lo scettro io vidi della patria terra
     A noi tolto, e il buon popol ingannato
     99Da infida tregua e rea, che alfin lo atterra:
Vidi il diletto mio padre svenato
     Steso giacer nella funerea buca
     102Di tre suoi figli trucidati a lato;
E perchè crudeltate empia riluca
     Più in empia mano, udii del sangue sparso
     105Vantarsi altier lo scellerato Duca.
Ben era il mio valor languido e scarso
     A così fieri assalti, onde si scosse
     108Da mille affetti il cor tristissim’arso;
E allora apparve a me, come se fosse
     A riparar l’umana colpa accinto
     111Quei, che a morir per noi pronto mostrosse
Pallido, lasso, esangue, e quasi estinto
     Fra i pensier tetri, e per l’estremo affanno
     114Di sanguigno sudor le membra tinto,