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EPOCA QUARTA. CAP. I. ii la platea di Torino, mossa forse a compassione 1775 della mia giovenile fidanza e baldanza, mi volle pur tributare. Primo passo adunque verso la purità toscana essere dovea, e lo fu, di dare interissimo bando ad ogni qualunque lettura francese. Da quel Luglio in poi non volli pii mai proferire paiola di codesta lingua, e mi diedi a sfuggire espressamente ogni persona e compagnia da cui si parlasse. Con tutti questi mezzi non veniva perciò a capo d’italianizzarmi. Assai male mi piegava agli studj gradati e regolati; ed essendo ogni terzo giorno da capo a ricalcitrare contro gli ammonimenti,io andava pur sempre ritentando di svolazzare coll’ali mie. Perciò, ogni qualunque pensiero mi cadesse nella fantasia, mi provava di porlo in versi; ed ogni genere, ed ogni metro andava tasteggiando,ed in tutti io mi fiaccava le corna e l’orgoglio, ma l’ostinata speranza non mai. Tra l’altre, di queste rimerie ( che poecie non ardirò di chiamarle ) una me ne occorse di fare, da essere da me cantàta ad un banchetto di liberi muratori. Era questa, o dovea essere un Capitolo allusivo ai diversi utensili e gradi e officiali di quella buffonesca società. E benché io nel primo Sonetto quassù trascritto avessi rubato un vsxso del Petrarca