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B VltA DI VITTORIO ALFIERI. i7j5. che non risparraierei oramai nè fatica nè noj.t nessuna per mettermi in grado di sapere la mia lingua quant’uomo d’Italia. E a questo giuramento m’indussi, perchè mi parve, che se io mai potessi giungere una volta al Ben di¬ re, non mi dovrebbero mai poi mancare nè il ben ideare, nè il ben comporre. Fatto il giu¬ ramento , mi inabissai nel vortice grammati- chevole, come già Curzio nella voragine, tut¬ to armato, e guardandola. Quanto più mi tro¬ vava convinto di aver fatto male ogni cosa sino a quel punto, altrettanto mi andava tenendo per certo di poter col tempo far meglio; e ciò tanto più tenendone quasi una prova evidente nel mio scrigno. E questa prova erano le due tragedie, il Filippo, ed il Polinice, le quali già tra il Marzo e il Maggio di quell’ anno stes¬ so 1775, cioè tre mesi circa prima che si reci¬ tasse la Cleopatra, erano state stese da me in prosa francese; e parimente lette da me ad alcuni pochi, mi era sembrato che ne fossero rimasti colpiti. Nè mi era io persuaso di que¬ st’ effetto perchè me l’avessero più o meno lo¬ date; ma per l’attenzione non finta nè coman¬ data, con cui le avevano di capo in fondo ascol¬ tate, e perchè i taciti moti dei loro commossi aspetd mi parvero dire assai più che le loro