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VITA DI VITTORIO ALFIERI. |
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[1763] quanto avrei potuto e dovuto fors’essere. Di tempo in tempo avevo in me stesso dei taciti richiamai a un qualche studio, ed un certo ribrezzo una mezza vergogna per l’ignoranza mia, su la quale non mi veniva fatto d’ingannare me stesso, nè tampoco mi attentava di cercar d’ingannare gli altri. Ma non fondato in nessuno studio, non diretto da nessuno, non sapendo nessuna lingua bene, io non sapeva a quale applicazione darmi, nè come. La lettura di molti Romanzi Francesi; (che degli Italiani leggibili non ve n’è) il continuo conversare con Forestieri, e il non aver occasione mai nè di parlare nè di sentir parlare Italiano, mi andavano a poco a poco scacciando dal capo quel poco di tristo Toscano ch’io avessi potuto intromettervi in quei due o tre anni di studj buffoni di Umanità e Rettoriche asinine. E sottentrava nel mio vuoto capo il Francese a tal segno, che in un accesso di studio ch’io ebbi per due o tre mesi in quel prim’anno del Primo Appartamento, m’ingolfai nei 36 volumi della Storia Ecclesiastica del Fleury, e li lessi quasi tutti con furore; e mi accinsi a farne anche degli estratti in lingua Francese, e di questi arrivai sino al libro diciottesimo: fatica sciocca, nojosa, e risi-