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76 | VITA DI VITTORIO ALFIERI. |
[1763] qualunque carta od oggetto. Talché quelle note musicali e le lor cinque righe così fitte e paralelle mi traballavano davanti alle pupille, ed io dopo quell’ora di lezione mi alzava dal cimbalo che non ci vedeva più, e rimaneva ammalato e stupido per tutto il rimanente del giorno.
Le scuole parimente della scherma e del hallo, mi riuscivano infruttuosissime; quella, perché io era assolutamente troppo debole per poter reggere allo stare in guardia, e a tutte le attitudini di codest’arte; ed era anche il dopo pranzo, e spesso usciva dal cimbalo e dava di piglio alla spada; il ballo poi, perché io per natura già lo abborriva, e vi si aggiungeva per più contrarietà il Maestro, Francese, nuovamente venuto di Parigi, che con una cert’aria civilmente scortese, e la caricatura perpetua dei suoi moti e discorsi, mi quadruplicava l’abborrimento innato ch’era in me per codest’arte burattinesca. E la cosa andò a segno, ch’io dopo alcuni mesi abbandonai affatto la lezione; e non ho mai saputo ballare neppure un mezzo Minuè: questa sola parola mi ha sempre fin d’allora fatto ridere e fremere ad un tempo; che son i due effetti che mi hanno fatto poi sempre in appresso i Francesi, e tutte le