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EPOCA SECONDA. CAP. V 69


dotto d’un animo caldo e sublime,oppure leggiero [1762] e vanaglorioso? Non lo so; altri potrà giudicarlo dagli anni miei susseguenti. Ma, so bene, che se io avessi avuto al fianco una qualche persona che avesse conosciuto il cuor dell’uomo in esteso, egli avrebbe forse potuto cavare fin da allora qualche cosa da me, con la potentissima molla dell’amore di lode e di gloria.

In quel mio breve soggiorno in Cuneo, io feci il primo Sonetto, che non dirò mio, perché egli era un rifrittume di versi o presi interi, o guastati, e riannestati insieme, dal Metastasio, e rAriosto, che erano stati i due soli Poeti Italiani di cui avessi un po’ letto. Ma credo, che non vi fossero nè le rime debite, nè forse i piedi; stante che, benché avessi fatti dei versi Latini esametri, e pentametri,niuno però mi avea insegnato mai ni una regola del Verso Italiano. Per quanto io ci abbia fantasticato poi per ritornarmene in mente almeno uno o due versi, non mi è mai più stato possibile. Solamente so, ch’egli era in lode d’una Signora che quel mio Zio corteggiava, e che piaceva anche a me. Codesto Sonetto,non poteva certamente esser altro che pessimo. Con tutto ciò mi venne lodato assai, e da quella Signora, che

Alfieri, Vita. Vol. I.