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60 VITA DI VITTORIO ALFIERI.


[1760] dai colleghi, e dar le sferzate dai maestri. Costui dunque, vistosi così sbeffato in pubblico, è rivestito per forza della sua naturai pelle d’asino, non osò pure apertamente far gran vendetta di me: non mi fece più lavorare per lui, e rimase frenato e fremente dalla vergogna che gli avrei potuta fare scoprendolo. Il che non feci pur mai: ma io rideva veramente di cuore nel sentire raccontare dagli altri come era accaduto il fatto del potebam nella scuola: nessuno però dubitava ch’io ci avessi avuto parte. Ed io verisimilmente era anche contenuto nei limiti della discrezione, da quella vista della mano alzatami sul capo, che mi rimaneva tuttora su gli occhi, e che doveva essere il naturale ricatto di tante palle mal impiegate pec farsi vituperare. Onde io imparai sin da allora, che la vicendevole paura era quella che governava il Mondo.

[1761] Fra queste puerili insipide vicende, io spesso infermo, e sempre mal sano, avendo anche consumato quell’anno di Rettorica, chiamato poi al solito esame fui giudicato capace di entrare in Filosofia. Gli studj di codesta Filosofia si facevano fuori dell’Accademia, nella vicina Università, dove si andava due volte il giorno; la mattina era la scuola di Geometria;