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VITA DI VITTORIO ALFIERI. |
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[1759] gio. Ma quando io era in Accademia, egli, benché amorevolissimo per me, mi riusciva pure nojosetto anzi che no; e, vedi stortura di giudizio, e forza di false massime,la cosa che di esso mi seccava il più era il suo benedetto parlar Toscano, ch’egli dal suo soggiorno di Roma’in poi mai,più non avea voluto smettere; ancorché il parlare Italiano sia un vero contrabbando in Torino, città anfibia. Ma tanta é però la forza del bello e del vero, che la gente stessa che al principio quando il mio Zio ripatriò, si burlava del di lui Toscaneggiare, dopo alcun tempo avvistisi poi ch’egli veramente parlava una lingua, ed essi smozzicavano un barbaro gergo,tutti poi a prova favellando con lui andavano anch’essi balbettando il loro Toscano; e massimamente quei tanti Signori, che volevano rabberciare un poco le loro case e farle assomigliar dei palazzi: opere futili in cui gratuitamente per amicizia quell’ottimo uomo buttava la metà del suo tempo compiacendo ad altrui, e spiacendo,come gli sentii dire tante volterà se stesso ed all’arte. Onde molte e molte case dei primi di Torino da lui abbellite o accresciute, con atrj, e scale, e pc “ toni, e comodi interni, resteranno un nior mento della facile sua benignità nel servire j amici, o quelli che se gli dicevano tali.