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EPOCA PRIMA. CAP. I. 41


va allora tenacissìmamente e russava come un [1758] bue. Quel volar del Calesse mi dava intanto un piacere, di cui non avea mai provato l’eguale: perchè nella carrozza di mia madre, dove «inche di radissimo avea posto il sedere, si andava di un quarto di trotticello da far morire; ed anche in carrozza chiusa, non si gode niente dei cavalli: ma all’incontro nel Calesse nostro Italiano uno ci si trova quasi su la groppa di essi, e si gode moltissimo anche della vista del paese. Cosi dunque di posta in posta, con una continua palpitazione di cuore pel gran piacere di correre, e per la novità degli oggetti, arrivai finalmente a Torino verso l’una o le due ore dopo mezzo giorno. Era una giornata stupenda, e l’entrata di quella città per la Porta Nuova, e la Piazza di S. Carlo fmo all’Annunziata presso cui abitava il mio Zio, essendo tutto quel tratto veramente grandioso c lietissimo all’occhio, mi avea rapito, ed era come fuor di me stesso. Non fu poi così lieta la sera; perchè ritrovandomi in nuovo albergo, tra visi sconosciuti, senza la madre, senza il maestro, con la faccia dello Zio che appena vea visto una altra volta, e che mi riusciva ssai meno accarezzante, e amoroso, della maire; tutto questo mi fece ricadere nel dolore,