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34 VITA DI VITTORIO ALFIERI.


[1757] to e privo di quel pomo d’ottone solito ad innestarvisi su le due punte che sporgono in fuori del camminetto, su una di esse mi venni quasi ad inchiodare la testa un dito circa sopra l'occhio sinistro nel bel mezzo del sopraciglio. E fu la ferita così lunga e profonda, che tuttora ne porto, e porterò sino alla tomba la cicatrice visibilissima. Dalla caduta mi rizzai immediatamente da me stesso, ed anzi gridai subito al fratello di non dir niente; tanto più che in quel primo impeto non mi parea d’aver sentito nessunissimo dolore, ma bensì molta vergogna di essermi così mostrato un soldato male in gambe. Ma già il fratello era corso a risvegliare il maestro, e il romore era giunto alla madre, e tutta la casa era sottosopra. In quel frattempo, io che non avea punto gridato nè cadendo nè rizzandomi, quando ebbi fatti alcuni passi verso il tavolino, al sentirmi scorrere lungo il viso una cosa caldissima, portatevi tosto le mani, tosto che me le vidi ripiene di sangue cominciai allora ad urlare. E doveano essere di semplice sbigottimento quegli urli, poiché mi ricordo benissimo, che non sentii mai nessun dolore sinché non venne il chirurgo e cominciò a lavare a tastare e medicare la piaga. Questa durò al cune settimane,