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EPOCA PRIMA. CAP. IV. 27


anzi tacito, e di buon passo, e ben rasente al [1756] Prete Ivaldi, sperai di passare inosservato nascondendomi quasi sotto il gomito del talare maestro, al di cui fianco appena la mia staturina giungeva. Arrivai nella piena Chiesa,guidato per mano come orbo ch’io era; che in fatti chiusi gli occhi all’ingresso, non gli apersi più finché non fui inginocchiato al mio luogo di udir la Messa; nè. aprendoli poi. gli alzai mai a segno di potervi distinguere nessuno. E rifattomi orbo all’uscire, tornai a casa con la morte in cuore, credendomi disonorato per sempre. Non volli in quel giorno mangiare, nè parlare, nè studiare, nè piangere. E fu tale in somma e tanto il dolore, e la tensione d’animo, che mi ammalai per più giorni; nè mai più si nominò pure in casa il supplizio della reticella, tanto era lo spavento che cagionò alla amorosissima madre la disperazione ch’io ne mostrai. Ed io parimenti per assai gran tempo non dissi più bugia nessuna; e chi sa s’io non devo poi a quella benedetta reticella l’essere riuscito in appresso un degli uomini i meno bugiardi ch’io conoscessi.

Altra Storietta. Era venuta in Asti la mia Nonna materna, Matrona di assai gran peso in Torino, vedova di uno dei Barbassori di Cor-