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EPOCA TERZA. CAP. XV. aSq no a quella sventurata e mal nata mia Gleopatra. Nò mi vergognai anco di consultare alcuni de’miei amici coetanei, che non avevano, come io, trascurata tanti anni la lingua e poesia Italiana; e tutti ricercava ed infastidiva, quanti mi poteano dar qualche lume su un’arte di cui cotanto io mi trovava al bujo. E in que-, sta guisa, nuli’altro desiderando io allora che imparare, e tentare se mi poteva riuscire quella pericolosissima e temeraria impresa, la mia casa si andava a poco a poco trasformando in una semi-accademia di letterati. Ma essendo io in quelle date circostanze bramoso d’imparare, e arrendevole, per accidente; ma per natura, ed attesa l’incrostata ignoranza, essendo ad un tempo stesso agli ammaestramenti recalcitrante ed indocile; disperavami,annojava altrui e me stesso, e quasiché nulla venivami a profitto. Era tuttavia sommo il guadagno dell’andarmi con questo nuovo impulso cancellando dal cuore quella non degna fiamma, e di andare ad oncia ad oncia riacquistando il mio già si lungamente alloppiato intelletto. Non mi trovava almeno più nella dura e risibile necessità di farmi legare su la mia seggiola, come avea praticato più volte fin allora, per impedire in tal modo me stesso dal potere fuggir di casa,