22 |
VITA DI VITTORIO ALFIERI. |
|
[1756] Tra i sette ed ott’anni, trovandomi un giorno in queste disposizioni malinconiche, occasionate forse anche dalla salute che era gracile anzi che no, visto uscire il maestro, e il servitore, corsi fuori del mio salotto che posto a terreno riusciva in un secondo cortile dove eravi intorno intorno molt’erba. E tosto mi posi a strapparne colle mani quanta ne veniva, e ponendomela in bocca a masticarne e ingojarne quanta più ne poteva, malgrado il sapore ostico ed amarissimo. Io avea sentito dire non so da chi, nè come, nè quando, che v’era un’erba detta cicuta che avvelenava e faceva morire; io non avea mai fatto pensiero di voler morire, e poco sapea quel che il morire si fosse; eppure seguendo così un non so quale istinto naturale misto di un dolore di cui m’era ignota la fonte, mi spinsi avidissimamente a mangiar di quell'erba, figurandomi che in essa vi dovesse anco essere della cicuta. Ma ributtato poi dalla insopportabile amarezza e crudità di un tal pascolo, e sentendomi provocato a dare di stomaco, fuggii nell’annesso giardino,dove non veduto da chi che sia mi liberai quasi interamente da tutta l’erba ingojata; e tornatomene in camera me ne rimasi soletto e tacito con qualche doloruzzo di stomaco e di corpo.