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EPOCA TERZA. CAP. XIII. 233


ché mi vi paresse dovervi aver forse qualche [1773] destrezza, non apprezzava io nell’intimo del cuore gran fatto questo si fallace genere; il di cui buon esito, spesso momentaneo, è pesto e radicato assai più nella malignità e invidia naturale degli uomini gongolanti sempre allorché vedono mordere i loro simili, che non nel merito Intrinseco del morditore.

Intanto per allora la divagazione somma e continua, la libertà totale, le donne, ì miei 24 anni, e ì cavalli di cui avea spinto il numero sino a dodici e più, tutti questi ostacoli potentissimi al non far nulla di buono, presto spegnevano od assopivano in me ogni qualunque velleità di divenire autore. Vegetando io dunque cosi in questa vita giovenile oziosissima, non avendo mai un istante quasi di mio, né -mai aprendo più un libro di sorte nessuna, incappai ( come ben dovea essere ) di bel nuovo in un tristo amore; dal quale poi dopo infinite angosce, vergogne, e dolori, ne uscii finalmente col vero, fortissimo, e frenetico amore del sapere e del fare, il quale d’allora in poi non mi abbandonò mai più; e che,se non altro, mi ha una volta sottratto dagli orrori della noja, della sazietà, e dell’ozio; e dirò più, dalla disperazione; verso la quale a poco a poco io mi