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222 | VITA DI VITTORIO ALFIERI. |
[1772] che l’ignoranza. Fu in una di quelle dolcissime serate, ch’io provai nel più intimo della mente e del cuore un impeto veramente Febeo, di rapimento entusiastico per l’arte della Poesia; il quale pure non fu che un brevissimo lampo, che immediatamente si tornò a spegnere, e dormì poi sotto cenere ancora degli anni ben molti. Il degnissimo e compiacentissimo Abate mi stava leggendo quella grandiosa Ode del Guidi alla Fortuna; Poeta, di cui sino a quel giorno io non avea neppur mai udito il nome. Alcune stanze di quella canzone, e specialmente la bellissima di Pompeo, mi trasportarono a un segno indicibile; talchè il buon Abate si persuase e mi disse che io era nato per far dei versi, e che avrei potuto, studiando, pervenire a farne degli ottimi. Ma io, passato quel momentaneo furore, trovandomi così irrugginite tutte le facoltà della ménte, non la credei oramai cosa possibile, e non ci pensai altrimenti.
Intanto l’amicizia e la soave compagnia di quell’uomo unico, che è un Montaigne vivo, mi giovò assaissimo a riassestarmi un poco l’animo; onde, ancorchè non mi sentissi del tutto guarito, mi riavvezzai pure a poco a poco a legicchiare e riflettere, assai più che