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218 | VITA DI VITTORIO ALFIERI. |
[1771] cuna di lui; e un par d’ore dopo, fasciata che fu la ferita, e rimessa in sesto ogni cosa me n’andai a letto lasciando la porticina che metteva in camera di Elia, aderente alla mia, aperta al solito e senza voler ascoltare lo Spagnuolo che mi avvertiva di non invitare così un uomo offeso e irritato di fresco ad una qualche vendetta. Ma io anzi dissi forte ad Elia che era già stato posto a letto, che egli poteva volendo uccidermi quella notte se ciò gli tornava comodo, poiché io lo meritava. Ma egli era Eroe per lo meno quanto me; nè altra vendetta mai volle prendere, che di conservare poi sempre due fazzoletti pieni zeppi di sangue, coi quali s’era rasciutta da prima la fumante piaga; e di poi mostrarmeli qualche volta, che li serbò per degli anni ben molti. Questo reciproco misto di ferocia e di generotàpet parte di entrambi noi, non si potrà facilmente capire da chi non ha esperienza dei costumi c del sangue di noi Piemontesi.
Io, nel rendere poi dopo ragione a me •tesso del mio orribile trasporto, fui chiaramente convinto, che aggiunta all’eccessivo irascibile della natura mia l’asprezza occasion£tta dalla continua solitudine ed ozio, quella tiratura di capello avea colmato il va»o, e fattolo in