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EPOCA TERZA. CAP. X. 191


seppi. Finalmente egli nel parare nna botta [1771] me ne allongò un’altra e mi colse nel braccio destro tra l’impugnatura ed il gomito, e tosto avvisommi ch’io era ferito; io non me n’era punto avvisto, nè la ferita era in fatti gran cosa. Allora abbassando egli primo la punta in terra, mi disse ch’egli era soddisfatto, e domandavami se lo era anch’io. Risposi, che io non era l’offeso, e che la cosa era in lui. Ringuainò egli allora, ed io pure. Tosto egli se n’andò; ed io, rimasto unaltro poco sul luogo voleva appurare cosa fosse quella mia ferita; ma osservando l’abito essere squarciato per lo lungo, é non sentendo gran dolore, nè sentendomi sgocciolare gran sangue la giudicai una scalfittura piò che una piaga. Del resto non mi potendo ajutare del braccio sinistro, non mi sarebbe stato possibile di Cavarmi l’abito da me solo. Ajutandomi dunque co’denti mi ’contentai di avvoltolarmi alla peggio un ffizzoletto e annodarlo sul braccio destro per diminuire così la perdita del sangue. Quindi uscito dal parco, per la stessa strada di Pallmall, e ripassando davanti al teatro, di donde era uscito tre quarti d’ora innanzi, ed al lume di nlcune botteghe avendo veduto che non era insaiuinato nè l’abito, nè le mani, scioltomi