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EPOCA TERZA. CAP. VII. | 155 |
capirle senza il soccorso della per me inapprendibile [1769] Geometria. Cioè a dire ch’io studiai malamente la parte isterica di quella scienza tutta perse matematica. Ma pure, cinto di tanta ignoranza, io ne intesi abbastanza per sublimare il mio intelletto alla immensità di questo tutto creato; e nessuno studio mi avrebbe rapito e riempiuto piò l’animo che questo, se io avessi avuto i debiti principj per proseguirlo.
Tra queste dolci e nobili occupazioni, che dilettandomi pure, accresceano nondimeno notabilmente la mia taciturnità, malinconia, b nausea d’ogni comune divertimento; il mio ’ Cognato mi andava continuamente instigando di pigliar moglie. Io, per natura, sarei stato, inclinatissimo alla vita casereccia; ma l’aver veduta l’Inghilterra in età di diciannove anni, e l’aver caldamente letto e sentito Plutarco all’età di venti anni, mi ammonivano, ed inibivano di pigliar moglie e di procrear figli in Torino. Con tutto ciò la leggerezza di quella stessa età mi piegò a poco a poco ai replicati consigli, ed acconsentii che il Cognato trattasse per me il matrimonio con una ragazza erede, nobilissima, e piuttosto bellina, con occhi nerissimi che presto mi avrebbero fatto smetre il Plutarco, nello stesso modo che Plutar-