Fido mio, già non sei di lor men bello,
Perch’essi un po’ ti avanzino di mole:
Nessuno ha pari al tuo vago il mantello,
Ch’oro tu sei quando t’irraggia il sole;
Nè un più bel falbo non ho visto mai.
Ma, senza ch’io più faccia qui parole,
Già ben cinque anni accompagnato mi hai
E portato di me la miglior parte:
Quindi il mio più gradito ognor sarai.
Nel Fido, o Checco, hai da impiegare ogn’arte,
Perch’ei del dritto piè ritorni sano;
Chè picciol mal da sanità il diparte.
Col sambuco farai, che fresco e piano
Rïabbia il nervo: indi il nitrato agresto
Gliel guarirà col passeggiar pian piano.
Nè creder ciancie mai di quello o questo
Nè molto meno all’asin manescalco,
Quanto il medico all’uomo, a lor funesto.
Sole è un raro animal: quand’io il cavalco,
Veramente mi par d’esser gran cosa;
Quasi Alessandro del Granico al valco.
Tanta è beltà superba e maestosa,
Tal leggerezza in così late membra,
Tanta in aspetto uman vista animosa,
Che a voler tutto dir favola sembra.
Era questo il destrier di Curzio audace;
Il cui nome la storia non rimembra,
Ed ha gran torto; chè desìo verace
Di acquistar fama al suo signor lo spinse
Là dove ogni altro sprone era fallace.
Spesso in battaglia è il palafren che vinse,
Giungendo ardire a chi premeagli il dorso,
Sì che a far maraviglie lo costrinse.
Così a Sole convien ch’io freni il corso,
Perchè alle voglie sue fervide ed alte
Pone il mio secol vile un duro morso.
Pazïenza è mestier che il cor mi smalte;
Che, se il fero corsiero al far m’inspira,
Mia stella vuol ch’io gli altrui fatti esalte. —
Ma fuor di stalla mi ha tirato l’ira;
Mentre tutti al presepio or ci condanna
Quel poter contro cui nullo si adira.