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rime varie 89


CXXX.

Ciò che il meglio si appella, e vuol più lode,
Credo, è talvolta all’uom discerner dato;
Benchè il seguirlo in tutto è a noi negato,
E a quelli più, cui passïon più rode.

So dire io pur, ch’io mi dovea far prode,
Ed aspettar che più benigno il fato
M’avesse la mia donna riportato
Di quà dall’Alpi alle tirrene prode.

Ma il quarto mese è già del second’anno,
Ch’io, per sforzo inaudito, lei non veggio;
E il posso or (spero) senza alcun suo danno.

Da chi biasmarmi vuol null’altro io chieggio,
Se non ch’egli entri nel mortal mio affanno;
Poi dir si attenti, ch’io m’appiglio al peggio.

CXXXI (1784).

CAPITOLO

SU LA CUSTODIA DEI CAVALLI.

Checco mio, pazïenza: i’ t’ho da dire
Su le mie bestie, che ti do in consegna,
Cose più forse che non puoi tu udire.

Ma pur, perchè tu sane le mantegna,
E l’impresa rïesca a lieto fine,
Or d’eseguirle in quanto puoi t’ingegna.

Frontino è un tal monello, a cui piccine
Convien le parti far di fieno e biada:
Ch’ei mangeria a suo senno sei decine.

Ciò dico affin ch’ei presto a mal non vada
E disperda quel corpo smisurato,
Che il rende triste in stalla e pigro in strada.